
Dire “parole che pesano”. Con i Social Network e Internet, osserva ancora mons. Celli, “pensiamo di ‘esserci’ solo quando mandiamo messaggi e siamo connessi. Invece servono contenuti che diano autenticità alle parole, non forme. E non dobbiamo dimenticare che, quando comunichiamo, anche nella Rete, comunichiamo noi stessi”. “Non è nella valanga delle parole che dite, che risiede la ricchezza di quello che state trasmettendo”, spiega l’arcivescovo rivolgendosi agli operatori della comunicazione. E aggiunge: “Solo la ricerca della verità eleva la dignità dell’uomo. Cercate quindi di pronunziare e scrivere parole che pesano. E non dimenticate che la comunicazione è da uomo a uomo, sempre. Non producete solo parole, ma comunicate idee e pensieri rivolti al cuore e all’intelligenza di un altro uomo”.
La riflessione di Benedetto XVI è magnifica. Se non si trattasse del Santo Padre, si potrebbe dire provocatoria. Nel caos delle voci che si sovrappongono, nell’ansia delle pause e in un flusso continuo, inarrestabile, l’invito a comunicare con i silenzi ha una carica dirompente. Non quel silenzio ispirato dalla rinuncia o dall’omertà, ma la nuvola dei pensieri, che vuole cercare il suo senso, come nelle tags cloud virtuali, contro la banalità delle parole-comunque. Prima il bisogno di capire, con il tempo che serve, senza paura del vuoto, poi la scelta di comunicare. Certo, se si applicasse al sistema della multimedialità quanto il Papa suggerisce, sarebbe quasi il black out. Si svuoterebbero i social network, ci sarebbe il problema di riempire la pagina politica, i talk show sarebbero cancellati, i tabloid chiuderebbero, la radio continuerebbe a trasmettere musica classica. In tanti, perderebbero il posto di lavoro. Vale per il mondo dei media, dove oramai impera la bulimia della parola, scritta o orale che sia, ma è uguale nella vita quotidiana di ciascuno. Se non parli e come se non esisti; se non replichi, hai torto; se sei un affabulatore, vinci. Il fatto è che non se ne esce, che non c’è una via di mezzo, dovrebbe cambiare tutto. Eppure, quando scoppia la tragedia o prevalgono il dolore oppure la gioia, il silenzio si prende la rivincita. Anche la bellezza porta il silenzio. È lo stupore, in sostanza, che fa la differenza. Per l’immensità e per i sentimenti non si trovano le parole. Che vita viviamo, allora? Se si ripercorre una qualsiasi giornata, se ne può buttare via una gran parte, se non cancellarla del tutto, a volte. Sono pochi i momenti nell’arco delle 24 ore, che restano per la vita. Dovremmo probabilmente soffermarci più spesso su questo: sul valore del nostro tempo per noi e per gli altri. E viverlo in modo consapevole, maturo. Seguendo l’invito del Papa, forse così potremmo avvicinarci a un maggiore equilibrio tra la parola e il silenzio: cominciando dall’ascolto di noi stessi.
Carmen Lasorella – direttore generale di “San Marino Rtv”
Nel silenzio nasce l’intelligenza del cuore e da questa nascita prendono respiro l’intelligenza delle parole e l’intelligenza delle immagini. Benedetto XVI consegna un pensiero di fiducia e di responsabilità con il messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali 2012. L’intelligenza del cuore, impercettibile palpito di ogni essere umano, si nutre di silenzio per diventare comunicazione tra volti. Nel silenzio prende sostanza l’ascolto di se stessi, degli altri, dell’Altro. È la scuola dell’essenziale dove si apprende a “discernere ciò che è importante da ciò che è inutile o accessorio”. È la passione educativa che ama anche le antiche e nuove strade del comunicare dove, nonostante i rumori, risuonano i passi della Parola attesa. Nella Rete che “sta diventando sempre di più il luogo delle domande e delle risposte”, è importante e bello fare del silenzio il momento aurorale dell’ascolto.
Non è un’impresa facile. “L’educazione – ricorda il teologo e mistico svizzero Maurice Zundel – passa da anima ad anima con l’aiuto del silenzio. Prosegue tutta la vita, attraverso le conversazioni di ogni giorno benché gli uomini che han qualcosa da dire siano pochi e quelli che sanno ascoltare ancor meno”. Quanta verità in questa battuta di Zundel! Le conversazioni, tuttavia, corrono nelle connessioni e così nel mare di Internet la fede, con le parole e le immagini dei testimoni digitali, è lieta di prendere il largo con i moderni navigatori. Come sul lago di Tiberiade in burrasca, diventa domanda e risposta “nell’essenzialità di brevi messaggi spesso non più lunghi di un versetto biblico”. Si apre una grande avventura dove, tra l’altro, si sperimenta che la solitudine non è l’isolamento. Il silenzio, anche nel digitale, nutre un “essere soli” che accoglie gli altri e li ascolta. L’isolamento, al contrario, è un “essere staccati” che diffida degli altri e, alla fine, di se stessi: rimane acceso il video e si spegne il volto. All’intelligenza del cuore il compito di scegliere.
Paolo Bustaffa